Il cinema di Giorgio Diritti affronta grandi temi dal valore universale, dall’identità culturale al disagio psichico, dalla libertà di espressione alla memoria, all’infanzia. Al contempo, il suo sguardo attento si è sempre posato sulle vicende degli oppressi, sulla natura delle comunità più circoscritte, fin dall’esordio con Il vento fa il suo giro e il successivo L’uomo che verrà, ricostruzione storica dell’eccidio di Marzabotto raccontato attraverso la visione corale di una comunità agricola. Per la sua bravura, per lo spessore del suo impegno civile e per l’incessante attenzione che dedica alle storie marginali, l’Archivio di Pieve è onorato di attribuirgli il “Premio Città del diario”, il riconoscimento rivolto alle personalità del panorama culturale che più si distinguono per il loro lavoro sulla memoria. Un lavoro che Diritti ha sublimato nel 2023 con l’uscita di Lubo, la sua ultima opera che pone al centro il dramma di una minoranza nomade, gli Jenisch, protagonisti loro malgrado di una buia pagina di storia contemporanea che ha avuto per sfondo la democratica Svizzera. Nella vicenda di Lubo c’è anche qualcosa di autobiografico ha raccontato Diritti, perché è vero che io sono di Bologna ma i miei genitori erano istriani e hanno subito, come altri miei parenti, la fuga forzata dal loro Paese per motivi etnici. Ricordo, quindi, che la comunità degli jenisch, cui fa parte il protagonista, ha subito una persecuzione simile a quella degli ebrei, dei Rom e dei sinti negli anni del nazismo, persino in un paese ritenuto civile e neutrale come la Svizzera. La eco lontana di un richiamo autobiografico e la consapevolezza che nella storia del popolo jenisch è racchiuso un monito per il presente, rivolto a tutti, affinché restiamo vigili in tempi di nazionalismi che ritornano.