I corpi senza vita affiancati sul molo Favarolo. L’uno dopo l’altro fino a contarne 366. È il 3 ottobre 2013, strage di migranti al largo di Lampedusa. Lo sgomento e la rabbia di una donna diventano parole da scagliare insieme a un telegramma contro quelle istituzioni che dovrebbero operare per cambiare, ma non lo fanno. Chiedo di venire qua a contare i morti insieme a me.
È Giusi Nicolini, sindaco dell’isola, che parla. È l’ennesima battaglia che affronta dall’inizio del suo mandato, 7 maggio 2012. Ne seguiranno molte altre. La sua guerra è contro l’eccidio in atto e per i diritti dei migranti. Sa che l’indifferenza e l’oblio sono nemici pericolosi, da combattere. Una memoria condivisa è invece un alleato potente, da chiamare in aiuto quando le istituzioni si voltano dall’altra parte, per non guardare. L’azione politica, civile e culturale di Giusi Nicolini esprime un’idea militante dell’uso della memoria. Il 3 ottobre non dovrà essere un giorno in cui si sta in silenzio. Qua bisogna urlare. Il giorno della Memoria deve essere l’urlo della vendetta che chiedono questi morti. Non può esserci oggi un uso più legittimo e nobile della memoria. È una chiamata che arriva all’Archivio dei diari, custode di migliaia di testimonianze di vita contemporanee. La lezione di Giusi Nicolini vale molto di più di un “Premio Città del diario”, che l’Archivio le attribuisce con orgoglio. Le vite dei migranti in mare si proteggono grazie alle missioni di salvataggio ben organizzate, non con le commemorazioni. Ma una commemorazione può sferzare chi detiene il potere di vita o di morte.
(la foto di Giusi Nicolini è di Rocco Rorandelli)