La parola pace ha avuto alterne fortune nella storia recente. È stata invocata e dimenticata ciclicamente, soprattutto nel corso del Novecento e nel secolo attuale. Oggi che una terribile guerra l’ha riportata sulle nostre bocche, e al centro delle riflessioni comuni, ci sentiamo tutti un po’ colpevoli per averla trascurata, specialmente negli ultimi trent’anni. Come se non ci fossero altre guerre al mondo, come se ragionare sui valori del pacifismo fosse superfluo nel nostro minuscolo spicchio di pianeta apparentemente pacificato. Come se non ci fossero le sentinelle della memoria a ricordarci di non dimenticare.
Andrea Riccardi lo ha sempre fatto, schierandosi in prima linea, con la Comunità di Sant’Egidio da lui fondata nel 1968, per la difesa di quei valori umani che si rispecchiano nella memoria collettiva e che contribuiscono in modo determinante ad alimentarla. Lo ha fatto come studioso di storia e docente universitario, lo ha fatto come mediatore in diversi conflitti contribuendo al raggiungimento della pace in Paesi come il Mozambico, il Guatemala, la Costa d’Avorio, la Guinea. Un vero «cercatore di pace».
In un tempo così difficile come quello che stiamo vivendo, abbiamo scelto di attribuirgli il Premio Città del diario come riconoscimento al suo impegno costante per la difesa di questi valori, della pace e della memoria. La sua presenza a Pieve Santo Stefano ci offre un’importante occasione di incontro e di dialogo. In un suo recente intervento, nell’elencare i numerosi conflitti «dimenticati» che oggi si sommano a quello che infiamma l’Europa orientale, Andrea Riccardi ha ricordato che ciò «non vuol dire ridimensionare il dramma ucraino, ma segnalare come il mondo sia tanto ammalato di guerra» e che per tentare di guarirlo «c’è bisogno di uno sguardo globale».