Ogni avventura portava per viatico una disillusione che si ripercuoteva nell’animo mio e l’animo stesso ritornava alla fonte di rifornimento. Nuovi progetti, iniziative più sfrontate e scommesse progettavo. Tutto era dipeso da me, in una vita battagliata la quale non mi offriva che peripezie e rovesci di fortuna. Calzolaio, pasticciere, salumiere, barbiere, muratore, cameriere, contabile, ufficiale dell’esercito, imprenditore. Sono solo alcuni dei mestieri che Giovanni Stefanolo pratica in poco più di mezzo secolo, tra Ottocento e Novecento, l’arco di tempo che trascorre dalla sua nascita al giorno in cui termina di scrivere le sue memorie. Una vita trascorsa tra il Piemonte e Nizza, l’Argentina e il Brasile, in un vortice senza fine di tentativi, spesso fallimentari, di trovare il giusto impiego, un lavoro soddisfacente e redditizio. I presagi di un percorso tumultuoso arrivano già quando a dieci anni scappa dal collegio. Il pensiero della fuga mi balenò ardito alla mente e seguito dalla repentina decisione, eludendo la vigilanza dell’assistente mi inoltrai in chiesa, mi inginocchiai nel primo banco vicino alla porta interna ed a poco a poco scivolai nel banco successivo, quindi balzai con ardimento, come uno scoiattolo, ed in un batter d’occhio mi trovai fuori, sul marciapiedi della città. Presentemente ero libero. Giovanni entra in conflitto con il padre, che nel frattempo dilapida il patrimonio familiare, e inizia a oscillare tra apprendistati senza successo e il ritorno agli studi fino al secondo anno dell’istituto commerciale. È il preludio all’assunzione come impiegato d’ordine presso l’Istituto di San Paolo a Torino e sembra arrivata la svolta: passo marziale, sbarbato, snello, volteggiavo di frequente un esile bastoncino di bambu, con, in testa, un cappellino da 7 cent. fornito di una cravatta di stoffa a colori sgargianti. Ma la cattiva sorte e le scelte sbagliate, due costanti nella vita di Stefanolo, irrompono ancora: nel 1888 si arruola nel 2° Reggimento Piemonte Cavalleria, dove in 30 mesi subisce diverse punizioni ero uno spensierato soldato, un insoburdinato Caporale, un disattento caporal Maggiore e fui uno sfortunato sergente, ma sempre onesto su tutto il fronte della vita militare. Nel 1902 si congeda e decide di cercare fortuna oltreoceano ma sin dall’arrivo a Buenos Aires, al “Hotel degli emigranti”, gli si presenta un quadro desolante schiamazzi ovunque, vociferio dapertutto; predomina il linguaggio napoletano e calabrese, voci stridule di donne meridionali, grida sgangherate di bambini, e tutto un guazzabuglio senz’ordine che divampa. Il viaggio si rivela infruttuoso, le speranze riposte in uno zio emigrato sono infondate, Giovanni si rimette in gioco con nuovi lavori, qualche successo e molte cadute. Torna in Italia, passa in Francia, poi di nuovo in Sud America a Rio de Janeiro. Intanto si sposa, ha due figli e compie il nobile gesto di rispondere alla chiamata della Patria quando scoppia la Prima guerra mondiale. Sopravvissuto alla trincea, torna a misurarsi contro l’eterno nemico della sua “vita battagliata”: il timore di perdere un impiego. Vorrei potervi rimanere ancora per alcuni anni, da raggiungere la mèta stabilitami dal destino, lasciando ad altri il compito di lanciarsi alla ventura in cerca di fortuna, io, ormai non cerco altro che la quiete fra cartacce e registri, ed alla sera ritirarmi, in buon ordine, fra le pareti particolari, a trascorrere, dopo il lavoro, le ultime ore della giornata in compagnia della mia famiglia.