Rachele Venturin

Per fortuna siamo fragili

autobiografia 1974-2023
nata a Meru (Kenya) nel 1974

L’Africa, il Medio Oriente, l’Europa, l’Italia: la vita di Rachele Venturin attraversa un numero incredibile di luoghi e di esperienze in meno di cinquant’anni. Tutto inizia in Kenya dove cresce al seguito dei genitori, ai tempi impegnati come infermieri, in compagnia di due fratelli e una sorella. Al rientro in Italia la famiglia si stabilisce in provincia di Biella, in una grande casa rurale I miei animati da un’etica cristiana forte e da altrettanto vivace attivismo di sinistra, avevano deciso, come molti altri in quei tempi, di fondare una comunità. No alla televisione, si alla libertà, alla commistione di esperienze, lingue, cultura. Infervorati studenti di sinistra, preti operai, tossicodipendenti, rifugiati provenienti da paesi lontani, operai baffuti, attivisti politici internazionali, disabili di ogni tipo. Scrittori, teologi, psicoterapeuti, prostitute, anziani, bambini senza famiglia. Rachele ammira l’impresa dei genitori ma soffre anche la particolarità del contesto Da una parte capivo l’urgenza del loro impegno che rifiutava il gretto menefreghismo egoista della società, ammiravo il loro coraggio e la loro tenacia, ma dall’altra agognavo una “normalità” familiare. E invece torna in Africa, nell’attuale Congo, per tre anni. Altra avventura ricca di difficoltà e di scoperte noi, nonostante le molte privazioni, eravamo troppo stimolati a scoprire il mondo attorno per sentirci veramente turbati. Poi di nuovo catapultata in Italia a Suvereto, alla Bulichella, comunità internazionale di quattro famiglie molto eterogenee che gestivano un’azienda agricola biodinamica. Va al liceo a Livorno, è la stagione della libertà e degli innamoramenti: tra questi un giovane tedesco di nome Christian che segue in Germania dove lavora e studia con profitto all’Università di Tubinga, conosce coetanei da tutto il mondo e trascorre uno dei periodi più felici recuperai una bicicletta di terza, quarta o quinta mano, non saprei dire, e mentre pedalavo per la città con i capelli al vento mi sentivo un’amazzone libera e felice sul mio destriero nero! D’improvviso nella sua vita entra Hossein, iraniano, di quindici anni più grande fuggito dal suo paese dopo la rivoluzione khomeinista. È un grande amore che le cambierà la vita: nel 2001 intraprende un lungo viaggio in Iran e lo sposa. Al rientro in Italia resta incinta di due gemelli ma decide di abortire, qualcosa nel rapporto inizia a vacillare. Dopo un’esperienza fallimentare nella cooperazione in Pakistan, è di nuovo in Iran per lavorare la terra con il marito. Ma Hossein si rivela ozioso, indolente e nulla cambia dopo la nascita, nel 2003, della figlia Khorshid che soffre di una disabilità fisica. Rachele si dedica anima e corpo alla cura della piccola, mentre il marito la critica come madre e continua ad allontanarsi fino alla definitiva rottura della coppia. Per Rachele inizia una nuova vita, opera nella mediazione interculturale e nella facilitazione linguistica dell’italiano per stranieri. Le difficoltà non mancano, ma Rachele torna anche a innamorarsi: Sauro è il compagno di un corso di teatro sociale che la soccorre quando cade in depressione. – Siamo fragili, sì, per fortuna! – mi scrisse lui, – così ci possiamo tenere insieme! Le sfide della vita non sono ancora finite, perché Rachele ha un aneurisma celebrale dal quale si riprende dopo una riabilitazione lunghissima e faticosa, fisica e psicologica. E oggi progetta ardentemente il futuro Finché c’è tempo voglio imparare. E amare.